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Immagine del redattoreRiccardo Marongiu

Johnny Lambizzi




Lo conobbi a Milano nei primi anni ottanta.

Suonava la chitarra in un modo tutto suo ma, essendosene stufato, si era comprato un sax tenore cercando di emulare John Coltrane, una cosa riuscita a nessuno, pur con i tanti che ci hanno provato. Tanti? Tutti direi.

Johnny era un tipo strano, davvero. Certo, nell’ambiente dei musicisti e degli artisti in genere, girano personaggi bizzarri, pittoreschi, diversi, ma Johnny era strano in maniera come dire... “obliqua”.

Tanto per fare un esempio.

Mi trovo in viale Monza per commissioni sento il suono di un sassofono, mi guardo intorno e, nel marciapiedi dall’altra parte della strada, lo vedo camminare lentamente suonando. Ai piedi ha le ciabatte di casa, indossa una t-shirt stropicciata di colore indefinibile e un paio di jeans stracciati e lisi. Mi vede e mi chiama urlando. Gli faccio ciao con la mano poi attraverso la strada e mi avvicino. Mi guarda esterrefatto da capo a piedi. Forse c’è qualcosa che non va… ho pantaloni e camicia puliti di colore vistoso, mi guardo per vedere se si sono macchiati ma è tutto a posto.

“Ciao Johnny, come va?”

“Riky scusa. ma te lo devo dire, io mi vergognerei a girare in città con quei pantaloni verdi e quella camicia colorata…”

Capite, nella sua logica lui è normale, cammina per strada in ciabatte suonando il sax ma si vergognerebbe ad avere pantaloni colorati.

Quando dico che è un tipo strano…

D’altronde anche la sua vita riflette il suo essere. Nato in Ungheria da padre italiano e madre ungherese, ha passato l’adolescenza in Grecia. Ha viaggiato tanto e parla madrelingua italiano, ungherese e greco, inoltre conosce il tedesco e parla bene anche l’inglese, pur non sapendo come si scrive!

Ha cominciato a suonare in tenera età assorbendo musica tradizionale magiara e greca, suonando standard jazz, brani in metriche balcaniche, sirtaki e pop music.

Fa cose pazzesche sulla chitarra, soprattutto suona scale sghembe dagli strani intervalli e mette insieme “al volo” accordi costruiti su queste scale. Suona completamente a orecchio, non sa né che note fa né che accordi sta suonando, ma la cosa funziona alla grande! Mai visto uno così.

In seguito l’ho aiutato a trascrivere musica di sua composizione.

Negli anni sessanta ha suonato rock e jazz con artisti greci poi è venuto in Italia dove ha suonano con Gigliola Cinquetti e Guido Crapanzano detto Guidone.

Ma il pezzo forte è stato aver fatto parte della formazione originale degli Area, a mio avviso il più grande gruppo italiano di sempre, assieme a Demetrio Stratos, Patrick Djivas (entrambi greci), Giulio Capiozzo, Victor Edouard Busnello e Gaetano Leandro.

Il primo album “Arbeit Macht Frei” fu composto da questa formazione ma fu registrato da un’altra, senza Leandro e Lambizzi, al loro posto Patrizio Fariselli e Paolo Tofani.

Credo che il nome del gruppo “Area” sia stata una sua idea.

Mi raccontò che, appena trovato un contratto, la casa discografica comprò per la band strumentazione nuova ed adeguata, visto che loro avevano materiale vecchio e scassato. Johnny si trovò quindi tra le mani la chitarra dei suoi sogni, una Gibson 175 e un amplificatore Fender.

Per il timore che poi se la riprendessero scappò negli Stati Uniti qualche giorno prima della registrazione!

Chitarra e ampli gli furono poi rubati a New York. Uscito dal locale dove aveva suonato si addormentò per strada perché troppo ubriaco. Quando si svegliò non c’era più niente.

Quando dico che era strano…

Fumava circa 120 sigarette al giorno e consumava ogni genere di sostanze. Lo ricordo con la chitarra in mano, una sigaretta accesa in bocca, un’altra in mano e una bottiglia di grappa tra le gambe.

Secondo me avrebbe dovuto essere morto da tempo se non avesse avuto un fisico da rugbista. Era alto un metro e novanta ed era massiccio.

La mattina, dopo aver fumato cinque sigarette di fila per ripristinare il tasso di nicotina, scaricava quintali di cassette dell’acqua minerale. Un lavoro con il quale manteneva a stento il figlio piccolo e la compagna, una ragazza ungherese entrata clandestinamente in Italia e che viveva confinata in casa.

Seppi poi che tornò in Ungheria, dove morì nel 2019.

Ti ricorderò per sempre Johnny!

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