di Rudolf Steiner
CONFERENZA
Colonia, 3 dicembre 1906
L'elemento musicale ha sempre avuto, per quelli che hanno riflettuto sopra di esso, qualcosa di enigmatico in rapporto con la concezione estetica in generale. La musica è, da un lato, la cosa più comprensibile per l'anima umana che sente in modo immediato, d'altro lato è qualcosa di difficile per coloro che vogliono comprendere la sua azione. Se vogliamo confrontare la musica con le altre arti, dobbiamo dire che queste ultime hanno tutte, veramente, un modello nel mondo fisico. Se, per esempio, lo scultore crea la statua di un Apollo o di un Giove, egli lavora secondo la realtà idealizzata del mondo umano. Altrettanto accade nella pittura. Al giorno d'oggi, in pittura, si ritiene valido soltanto ciò che dà l'impressione immediata della realtà. Analogamente la poesia si sforza di creare una immagine della realtà. Chi però volesse applicare questa teoria alla musica, assai difficilmente potrebbe arrivare ad un risultato qualsiasi. L'uomo è obbligato a chiedersi: da dove veramente proviene il suono formato artisticamente, con che cosa sta esso in rapporto nel mondo ?
Un grande spirito del secolo XIX che ha formulato chiare e profonde osservazioni riguardo all'arte è stato Schopenhauer. Egli assegna alla musica un posto del tutto particolare fra le arti, e all'arte come tale un valore del tutto speciale nella vita umana. Come motivo conduttore della sua filosofia, egli ha preso, in sostanza, la seguente frase: la vita è una cosa sgradevole, ed io cerco di renderla sopportabile riflettendo sopra di essa. Secondo la sua rappresentazione, in tutto il mondo domina una incosciente, cieca volontà. Questa forma la pietra, e dalla pietra la pianta, e così via, perché è sempre insoddisfatta. E così vive, in ogni cosa, l'anelito verso quanto è più alto.
Anche l'uomo sente questo, ma qui sussistono grandi differenze: il selvaggio che vive in una coscienza ottusa sente molto meno l'insoddisfazione della volontà che non l'uomo più evoluto, che può sperimentare assai più chiaramente il dolore dell'esistenza. E aggiunge Schopenhauer: vi è ancora una seconda cosa, che l'uomo conosce oltre la volontà, ed è la rappresentazione. Questa è come una “fata morgana”, come una formazione nebulosa o un frangente schiumoso delle onde, in cui si rispecchiano le immagini della volontà, dell'oscura costrizione. Nell'uomo, la volontà si innalza a queste immagini apparenti. Chi in tal modo scorge la volontà, diventa ancor più insoddisfatto. Ma vi sono dei mezzi mediante i quali l'uomo può arrivare a una specie di liberazione dalla cieca costrizione della volontà: uno di questi mezzi è l'arte, attraverso la quale l'uomo riesce ad elevarsi al di sopra dell'insoddisfazione della volontà.
Quando l'uomo crea un'opera d'arte, la crea traendola fuori dalla sua propria rappresentazione. Ma mentre altre rappresentazioni sono semplici immagini, nell'arte le cose stanno diversamente. Per esempio, il Giove di Fidia non è stato effettuato copiando un uomo reale. L'artista vi ha combinato molte impressioni, tutti i pregi conservati nella memoria, ed ha scartato tutti i difetti. Da molti uomini sì è formato un'immagine ideale, che in nessun luogo si è realizzata in natura, bensì è stata ripartita in molte singole individualità. Schopenhauer dice che il vero artista riproduce queste immagini ideali, questi archetipi, non le rappresentazioni che di solito ha l'uomo: non copie, ma immagini ideali. Analogamente l'uomo, entro la natura creatrice, si congiunge con le profondità di essa, si procura una redenzione.
Così accade per tutte le arti, fuorché per la musica. Le altre arti debbono passare attraverso la rappresentazione, dunque fornire immagini della volontà. Ma il suono è un'espressione immediata della volontà stessa, senza intervento della rappresentazione. Quando l'uomo agisce artisticamente nel campo dei suoni è come se stesse col suo orecchio nel cuore stesso della natura; egli percepisce la volontà della natura e la riproduce in sequenze di note. In tal modo, dice Schopenhauer, l'uomo sta in intimo rapporto con le cose in sé, penetra nell'intima essenza delle cose. Poiché nella musica, l'uomo si sente così vicino all'essenza, per questo egli sente nella musica stessa quel profondo soddisfacimento.
Così Schopenhauer, in base ad una conoscenza istintintiva ha assegnato alla musica la funzione di rappresentare direttamente l'essere del cosmo. Egli ebbe una specie di istintivo presagio dei fatti reali. Il fatto che la musica possa parlare a tutti, e che essa agisca sugli uomini fin dalla primissima infanzia, tutto ciò può diventarci comprensibile in quel campo dell'esistenza dove la musica stessa ha i suoi reali archetipi.
Quando il musicista compone, egli non può imitare nulla. Egli deve trarre dalla sua anima i motivi della creazione musicale. Da dove egli li tragga ci deve risultare se noi ci dirigiamo verso i mondi che non sono percepibili al nostri sensi. Dobbiamo esaminare di che natura siano veramente i mondi superiori. L'uomo è in condizione di schiudere a se stesso delle facoltà superiore giacenti nella sua anima, che di solito sono assopite. Come per il cieco nato, attraverso un operazione, il mondo fisico può diventare visibile, così per l'uomo possono anche venir dischiusi gli organi interni atti a conoscere i mondi spirituali superiori.
Quando l'uomo sviluppa tali facoltà, che altrimenti sono in lui latenti, quando egli comincia a sviluppare la sua anima per mezzo della meditazione, della concentrazione e così via, allora in lui le cose progrediscono per gradi. La prima cosa che si sperimenta è una particolare trasformazione del proprio mondo di sogno: quando l'uomo riesce, nella meditazione, ad escludere tutti i ricordi del mondo sensibile esteriore e delle esperienze abituali, e quando egli ha tuttavia ancora un contenuto nella sua anima, allora il suo mondo di sogno incomincia ad avere una grande regolarità. E' quando egli si sveglia, è come se si sollevasse da un fluttuante mare cosmico; sa di aver sperimentato qualcosa di nuovo, è come uscito da un tal mare di luce e di colori quali non ha mai ancora conosciuto nel mondo fisico. Le sue esperienze di sogno acquistano sempre più chiarezza. Egli si ricorda che in quel mondo di luce e di colori vi erano cose ed entità che si differenziano dagli altri oggetti per il fatto che si può passare attraverso di esse, senza che oppongano resistenza alcuna. Egli viene a conoscere una quantità di esseri, il cui elemento costitutivo, i cui corpi sono i colori. Sono esseri che si manifestano nel colore, si incarnano in esso. A poco a poco l'uomo estende la suaa coscienza entro questo mondo, e al suo risveglio si ricorda di esservi entrato in modo attivo. Il passo successivo consiste nel fatto che l'uomo porta con sé quel mondo nella vita diurna: allora comincia pian piano a vedere quello che viene chiamato il corpo astrale umano. Sperimenta un mondo che è molto più reale dell'abituale mondo fisico: quest'ultimo è una specie di condensazione, di cristallizzazione proveniente dal mondo astrale. In tal modo l'uomo consegue allora due gradi di coscienza: la coscienza di veglia quotidiana e la coscienza di sogno.
Un gradino ancora più elevato raggiunge l'uomo, quando riesce a trasformare lo stato del tutto privo di coscienza in uno stato cosciente. Il “chela” o discepolo arriva ad ottenere la continuità della coscienza per una parte della notte, per quelle parti che non appartengono alla vita di sogno, ma che prima erano ancora del tutto prive di coscienza. Impara allora a diventar cosciente in un mondo del quale solitamente egli non sa nulla: questo nuovo mondo non è un mondo di luce e di colori, ma si presenta anzitutto come un mondo di suoni. In questo stato di coscienza l'uomo consegue la capacità di udire spiritualmente, di percepire combinazioni e molteplicità di suoni che non sono udibili per l'orecchio fisico. Questo si chiama il mondo del “devachan”.
Non bisogna però credere che, quando l'uomo sente sorgere il mondo spirituale dei suoni, egli non conservi più la visione del mondo di luce e di colori. Anche il mondo di suoni è permeato di luce e di colore, che però appartengono al mondo astrale. Ma l'elemento primordiale del mondo devachanico è il fluttuante mare di suoni. Anche da questo mondo della continuità di coscienza l'uomo può portar con sé l'elemento sonoro, e in alt modo udire tale elemento sonoro anche nel mondo fisico. A ogni cosa del mondo fisico sta alla base un suono: ogni volta rappresenta determinati suoni devachanici, tutti gli oggetti hanno alla base del loro essere un suono spirituale, e l'uomo stesso è, nella sua più profonda essenza, un simile suono spirituale. Per questa ragione Paracelso ha detto: “I regni della natura sono le lettere dell'alfabeto, e l'uomo è la parola che si forma con quelle lettere”. Ogni volta che l'uomo si addormenta e perde coscienza, il suo corpo astrale esce dal corpo fisico. Allora l'uomo diventa, è vero, incosciente, ma è ancora vivente nel mondo spirituale: sulla sua anima i suoni spirituali fanno un'irnpressione. Ogni mattina l'uomo si sveglia provenendo dal mondo della musica delle sfere, e dalla regione della pienezza sonora entra nel mondo fisico. Se è vero che l'anima umana, tra due incarnazioni, passa per il devachan, si può anche dire che durante la notte l'anima nuota e vive nel fluttuante suono come nell'elemento dal quale essa è propriamente intessuta e che è la sua vera patria.
Il musicista compositore, quindi, trasforma in un suono fisico il ritmo, le armonie e le melodie che, di notte, si imprimono nel suo corpo eterico. Incoscientemente il musicista ha il modello del mondo spirituale, e lo traspone nei suoni fisici: questo il misterioso rapporto tra la musica che qui risuona nel fisico e l'ascolto della musica spirituale durante la notte.
Quando un uomo è illuminato dalla luce, subito si forma sul muro la sua ombra, che però non è l'uomo reale. Così la musica che viene prodotta nel fisico è un'ombra, una vera ombra della musica, molto più elevata, del devachan. L'immagine primordiale, il modello della musica sta nel devachan, la musica fisica non è che una copia della realtà spirituale.
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